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Ecco, in una lettera agli amici
del 21 maggio 1977, come Candia descrive questo luogo di
sofferenza: "Trovandomi (...) immerso in una realtà estremamente
dolorosa e disumana, spesse volte, pregando il Signore per i
miei fratelli, mi vien fatto di aggiungere subito: 'Signore, fa
che io sia sincero quando li chiamo fratelli'. Sul piano umano
sarei certamente molto demoralizzato e non saprei come
continuare l'opera. Solamente la fiducia in Dio mi dà la forza
di non abbandonare il posto. Per poter far questo, insieme con
tutte le altre persone che con me a Macapà e a Marituba sono
impegnate e mi sono tanto d'esempio, abbiamo proprio bisogno del
vostro appoggio ideale, della vostra convinzione e della vostra
preghiera".
Hanno detto di lui.
Proprio la preghiera è stato l'alimento quotidiano che ha dato a
Candia la forza di superare la malattia e proseguire nella sua
opera di carità. Questo aspetto è stato sottolineato anche dal
cardinale Carlo Maria Martini, nel 2003, in occasione delle
celebrazioni per il ventesimo della morte. "Egli – scriveva ai
responsabili della Fondazione Candia, l'arcivescovo emerito di
Milano, che il 12 gennaio 1991 aprì il processo diocesano per la
causa di canonizzazione, solennemente concluso l'8 febbraio 1994
– aveva grande fiducia nella grazia di Dio e nella preghiera e
in tutti coloro che pregavano per lui e le sue opere".
Vedendo in lui i tratti del "cristiano autentico"
e dello "spirito libero", il cardinale così continuava: "Nella
sua vita non tutto era facile o veniva come da sé. Aveva
anch'egli bisogno, come tutti noi, di conforto, di
incoraggiamento, di consiglio, ma sapeva chiederlo e riceverlo
con umiltà. Per questo la sua figura, se da una parte suscita in
noi sorpresa e meraviglia, dall'altra la sentiamo molto vicina
alle nostre fatiche e alle nostre debolezze". Dal 6 aprile 2006,
il Servo di Dio Marcello Candia, inizialmente sepolto nel
cimitero di Chiaravalle, riposa nella chiesa degli Angeli
Custodi di Milano, parrocchia che tanto amava e frequentava con
assiduità.
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La vita.
"Non si può condividere il Pane del Cielo, se non si condivide
il pane della terra". Questo convincimento, scritto sul muro
della propria abitazione, ha guidato Marcello Candia nella
missione a fianco dei poveri del Brasile, per i quali ha speso
gli ultimi vent'anni di vita. Nato a Portici (Napoli) il 27
luglio 1916, Candia, terzo di cinque fratelli, è figlio di
Camillo, un facoltoso industriale di Milano, fondatore della
prima "Fabbrica italiana di acido carbonico" e di Luigia (Bice)
Mussato. Da questa donna, morta a soli 42 anni nel 1933, il
giovane Marcello eredita una fede semplice ma solida e impara il
valore della solidarietà verso i più bisognosi. Un insegnamento
che metterà in pratica tutta la vita.
Laureatosi, a 23 anni, in Chimica a Pavia,
consegue anche la laurea in Farmacia e, successivamente, quella
in Biologia, prima di aderire alla Resistenza, dopo l'8
settembre 1943. A guerra finita, con i Cappuccini del convento
di viale Piave, organizza a Milano l'assistenza ai soldati
rimpatriati, mentre a Palazzo Soriani fonda il "Villaggio della
madre e del fanciullo", per l'accoglienza di un centinaio di
ragazze madri. Il Brasile lo incontra nel 1950, attraverso due
missionari: padre Alberto Beretta, impegnato a fondare un
ospedale nel Nord Est del Paese e padre Aristide Pirovano,
futuro vescovo, che chiede aiuti per una missione a Macapà, uno
sperduto villaggio alla foce del Rio delle Amazzoni. Lo stesso
anno, però, muore papà Camillo e, quindi, tutto il peso della
conduzione dell'azienda di famiglia passa sulle spalle di
Marcello, che è così costretto a rimandare il proprio sogno
missionario.
Un progetto che si avvera soltanto nel 1965,
quando, dopo aver venduta la fabbrica, tra l'incredulità e
l'incomprensione generale, si trasferisce definitivamente a
Macapà. I buoni propositi si devono però scontrare con la
fragilità del fisico. Nel 1967 subisce il primo dei cinque
infarti che il suo cuore, generoso ma debole, dovrà sopportare e
che lo porteranno in sala operatoria per il delicato intervento
di inserimento di ben tre by-pass. A chi gli raccomandava di
riposarsi, ecco che cosa rispondeva: "Siccome bisogna sempre
restare giovani, io penso che il modo migliore sia quello di
rispondere sempre alle chiamate del Signore: perciò in tutto ciò
che il Signore mi fa incontrare sul mio cammino e mi ispira ad
attuare, io mi ci butto dentro".
Il pensiero.
Abituato a ripetere "chi ha molto ricevuto deve dare molto",
Marcello Candia si dedica anima e corpo ai diseredati del
Brasile, avviando numerose opere, oggi gestire dalla Fondazione
che porta il suo nome e che lui stesso ha voluto, poco prima di
morire, per un tumore devastante della pelle, il 31 agosto 1983,
a Milano. Tra queste realizzazioni, la più "famosa" è il
lebbrosario di Marituba, visitato nel 1980 da Giovanni Paolo II
che, per l'occasione chiese espressamente di incontrare
"Marcello dei lebbrosi". |